In conseguenza della separazione, nel caso in cui vi siano figli minori o non economicamente autosufficienti, l’abitazione familiare viene di regola assegnata al genitore presso il quale i figli sono collocati prevalentemente.
Questo principio trova ragione nella salvaguardia dell’interesse superiore della prole (art. 155-quater c.c.) e viene valutato prioritariamente anche rispetto agli interessi personali dei coniugi.
Dell’assegnazione il giudice tiene pure conto nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori, considerato l’eventuale titolo di proprietà.
Il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso che l’assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare, o inizi una convivenza more uxorio, o contragga nuovo matrimonio.
Il provvedimento del Giudice con cui viene disposta l’assegnazione della casa coniugale può essere trascritto ai sensi dell’art. 2643 c.c. al fine di renderlo opponibile a terzi (ad esempio, nel caso in cui il genitore non assegnatario venda a terzi l’abitazione di sua proprietà esclusiva, Corte Cost. sent. n. 54/1989).
Nel caso in cui l’abitazione familiare sia in locazione, al conduttore succede per legge l’ex coniuge assegnatario.
Qualora non vi siano figli, salvo il caso di un diverso accordo, la casa familiare non può essere assegnata ad uno dei coniugi. In questo caso, se l’immobile è di proprietà comune e non si trovi un’intesa, si potrà richiedere la divisione giudiziale dell’immobile. Se l’immobile è di proprietà esclusiva di uno dei coniugi, rientrerà nella sfera di disponibilità esclusiva di quest’ultimo.
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